Raffaele Cascone Multi-Media

Stanlio e Ollio arrivano alla Stazione Termini di Roma, luglio 1950
Medie-valia
I danni esistenziali e materiali causati a quelle innocenti malcapitate vittime che sono state scaraventate da genitori e antenati altrettanto sprovveduti, in quel caravanserraglio che èil mondo convenzionale socio-culturale, senza essere attrezzati con strumenti conoscitivi, biologici e di potere sugli altri corpi, sono pari solo a quelli causati, fin dalla notte dei tempi, da altri predatori con cui le specie umana ha condiviso il pianeta azzurro. Che l’essere umano sia un predatore, con un discreto successo nel dominare le altre specie, ci sono pochi dubbi. I comportamenti che invece incontrano una strana riluttanza ad essere ammessi, sono proprio quelli predatori e di dominanza interspecifici, in due parole: homo homini lupus.
Se non fossero bastate le ecatombe delle due guerre mondiali del secolo scorso a smontare la favola di una presunta modernità, contrabbandata negli ultimi cent’anni, con le relative famigerate sorti progressive per l’uomo “moderno”, gli ultimi due anni di guerre “in diretta” a reti unificate, avrebbero dovuto fugare qualsiasi dubbio. Non è stato così, la specie umana non si è emancipata per niente da una vita inquietante e da comportamenti distruttivi “bestiali” (tanto per offendere innocenti e incruenti animali).
Ciò non è percepito e non è oggetto di riflessione né da parte del “pubblico”, né da parte dei media, né da parte degli specialisti, ciascuna categoria beneficiaria e vittima di isolamento pneumatico rispetto al resto del mondo attra-verso un dispositivo ubiquitario e trino:
la mancanza di contatto con gli altri, con sé stessi e con l’alterità attraverso un’identificazione esclusiva su uno solo degli anelli del nodo borromeo tra reale, simbolico e immaginario.
Reale è solo ciò che l’occhio vede, qui ed ora, ed il trionfo del probabile.
L’anello chiuso su sé stesso dell’Immaginario è l’identificazione esclusiva sull’impossibile e la negazione degli altri due anelli.
L’anello del simbolico, chiuso in sé, è l’identificazione esclusiva sul protocollo, sul linguaggio e sulla rappresentazione, un sistema chiuso che tende a intensificare i suoi codici interni e ad isolarsi dal mondo esterno e a ritenere che il proprio mondo sia la verità, che sia oggettivo e che sia il migliore dei mondi possibili, per quanto catastrofico possa essere.
Si tratta di dispositivi disabilitanti ma soprattutto totalizzanti e distruttivi poiché impongono un dentro e un fuori, in cui il posizionarsi all’interno si accompagna alla esclusione e alla distruzione di chi viene “manu militari” posizionato all’esterno di sé stessi.
Questo ultimo anello chiuso evidenzia come “non siamo mai stati moderni” poiché esprime posizioni clamorosamente superstiziose, deliranti e persecutorie.
Se a questo punto avete la sensazione che vi sto parlando dei Media, dei loro “contattati” e dell’ultima “vague”, elevarsi al rango di terminali dell’Intelligenza Artificiale, non state sbagliando.
Siamo infatti immersi in una matrice micidiale: la rappresentazione, in versione totalitaristica e basso medievale. Tutto regolare. Ciò che può piavevolmente sorprendere è di quanto la nostra necessità attuale di garantirci la sopravvivenza fisica, esistenziale, mentale e spirituale possa essere risolta attraverso la guida adeguata di Dante Alighieri, ancora oggi unico e ultimo dei moderni, a sette secoli dalla sua scomparsa.
Nessun maestro della rappresentazione artistica, oratoria o linguistica del medioevo sarebbe caduto nel più idiota degli errori contemporanei:
la convinzione che nella rappresentazione sia “presente” ciò che viene rappresentato. Si tratta proprio della stessa credenza attuale degenerata e di stampo basso medievale secondo cui il mondo “raccontato” dalle rappresentazioni sia il reale, sia vero e sia oggettivo, al punto che oggi circolano idioti che si vantano, auspicano e impongono che loro parlino a nome dell’oggettività.
Nel medioevo nessuno parlava nel nome di sé stesso perché non ne aveva titolo. Solo il religioso era autorizzato poiché parlava a nome di Dio come lo stesso Re che dalla chiesa riceveva la sua divina incoronazione. L’autorevolezza oggi viene conferita in modo analogo, dal Dio dell’oggettività, la verità oggettiva, magari scientifica. Fatto è che questa oggettività è l’ultima più recente figura della rappresentazione: l’idolatria. La credenza che la statua sia oggettivamente Dio stesso.
È una delle trappole allucinatorie dell’ebrezza spinta fino ai limiti di una specie di autoerotismo feticistico. Musicisti, musicofili, jazzisti, artisti figurativi accettano e imparano a essere smossi, affetti, messi in movimento da dispositivi simbolici, evocativi (di che cosa?), “entusiasmanti”, e ad utilizzarli per sensibilizzare gli altri.
Questo dispositivo può diventare invasivo e delirante allorchè si espande al di fuori dell’ambito ristretto di esperienze occasionali, di picco, anche se para-erotiche. Allorché infatti diventa un modo di vivere e un’esperienza continuativa e sempre presente, può sconfinare in una paralisi allucinatoria o nell’ebbrezza estrema della stimolazione continua e costante da parte della luminescenza degli schermi e della rappresentazione che per giunta acquistano in tal modo la funzione di “schermare” di porre anche al riparo dai fastidi e dai pericoli della corporeità, perché la anestetizza.
In questo trappola infatti sussiste solo la promessa di un godimento che il dispositivo non consente: la rappresentazione rimanda solo a sé stessa e alla sua riproducibilità seriale e a niente e nessun altro. La creatività e il jazz allora perderebbero le loro condizioni di possibilità, se non ci venisse in soccorso l’arte che da sempre custodisce il segreto irrappresentabile dell’uscita dalla matrice dell’anello chiuso della rappresentazione.
Raffaele Cascone, febbraio 2025
24 Febbraio 2025:
Mio commento a caldo su questa intervista (a dir poco imbarazzante) di Diego Bianchi “Zoro” con Edoardo Bennato a margine del recente Festival di Sanremo – con successiva discussione aperta a tutti:
Tono artatamente e a tutti costi goliardico e ridanciano da parte del conduttore romano etnico “Zoro”, al quale Edoardo tiene testa in italiano nazionale tanto bene da rilanciare, tanto per ricordare, a scanso di qualsiasi equivoco, il meta-messaggio nazional-popolare:
“Ma che politica, che cultura! Sono solo canzonette. Stiamo solo scherzando, anche se sul piano della esposizione mediatica siamo professionali: infatti ci manteniamo leggeri, ironici e poco seri, secondo le abitudini dei media di evasione tradizionali”.
Questo tentativo di infettarci di normalità tranquillante invece inquieta in quanto excusatio non pentita che sembra dire: “Noi non siamo quelli contro i quali i vostri genitori vi mettono in guardia, ma siamo sicuri come il latte”.
Questa commercializzazione verso il dumping è in contro tendenza rispetto alle altre arti. D’altronde, mentre durante gli anni 1950-70 nel mondo francofono e nel mondo anglofono la musica cantautorale diventava colta, anticonformista e progressiva, un linguaggio comune per i giovani e il cambiamento in atto, in Italia i media tentavano di banalizzare, riuscendoci, creando l’imbecille collettivo con giovani e musica rappresentati come yé-yé, dediti alla pura superficialità e al puro intrattenimento di evasione. Lo stesso Bennato, insieme a Battiato, Guccini, De Gregori, Lolli e altri, invece intrapresero un percorso complementare a Sanremo, elevando la loro nicchia di mercato a movimento culturale e è il loro prodotto a linguaggio comune. In tal senso antidoti alla tendenza verso il consumo dozzinale.
La fine del disco, del CD e la diffusione della musica senza supporto oggetto fisico hanno reso difficile la sopravvivenza economica dei musicisti culturali e creato la necessità di cercare o inventarsi stratagemmi per sopravvivere. Pochi ci sono riusciti. Sanremo è un arma a doppio taglio: la consacrazione che ne deriva è terminale. Purificando l’artista dal suo anti-conformismo, lo pone al di fuori del tempo, fuori dal futuro e dal cambiamento che porta e dentro l’offerta della sostituzione merci stagionale con cadenza trimestrale. Un conformismo non dignitoso come quello generoso e popolare delle feste di piazza e delle balere romagnole di periferia, ma uno degli stratagemmi per restare a galla.
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